L'empatia e i meccanismi di proiezione e di introiezione

   
 
     
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
     
     
 


A cura di Laura Ramaro

All'interno del panorama dei legami affettivi e sociali, molti studi di psicologia sociale hanno reputato fondamentale la nozione di empatia definita come la risposta emotiva che induce ad interagire con gli altri in base alla partecipazione emotiva nei loro confronti.
La possibilità di condividere l'emotività altrui si attua con un processo cognitivo che induce a riconoscere le emozioni negli altri tramite un meccanismo di discriminazione delle espressioni rilevate nei loro volti: il riconoscimento diviene un prerequisito indispensabile per assumere la prospettiva altrui, comportando la possibilità di riconoscere l'esperienza degli altri come separata da quella propria, in modo da condividere vicariamente le emozioni altrui e da poterle rappresentare.
All'interno di questa prospettiva, sembra appropriato parlare di una vera e propria teoria della mente definita infatti come la capacità di spiegazione e di comprensione psicologica posseduta dagli esseri umani, che consente loro di comprendere intuitivamente le emozioni, le azioni e gli stati mentali altrui, attraverso semplici inferenze mentali.
In tale modo nell'interazione diretta con le persone, il comportamento di un individuo sembra essere costantemente regolato dalle sue rappresentazioni, che gli consentono infatti di regolare la propria condotta sulla base di processi mentali ed intenzioni attribuite agli altri.
I processi di immedesimazione empatica che utilizzano la rappresentazione vicaria del vissuto altrui, sembrano tuttavia caratterizzare solo alcune delle forme più sofisticate di condivisione emotiva, presenti soprattutto nella dimensione emotiva adulta, dove l'empatia è accompagnata inevitabilmente da processi cognitivi superiori.
Nei neonati sembrano esistere infatti delle forme primitive e dirette di condivisione affettiva, che consistono in reazioni automatiche agli stimoli espressivi manifestati nell'altra persona. Il primo ad aver individuato l'esistenza di capacità innate di riconoscimento delle emozioni, unita ad una tendenza innata a rispondere automaticamente a queste in modo congruente, è stato Charles Darwin (1872), ritenendo che le espressioni emotive agiscono da segnali che comunicano ai congeneri un certo stato emotivo e ne determinano la risposta espressiva per imitazione automatica.
Riprese dalla moderna etologia, le posizioni darwiniane sono state trattate in termini di contagio emotivo, inteso come l'insieme di esperienze emotive immediate ed involontarie che inducono a rispondere alle espressioni emotive direttamente per imitazione automatica. Secondo Bonino, Lo Coco e Tani (1998), la tendenza a rispondere in modo immediato alle emozioni altrui, sembra essere la caratteristica dominante dei processi affettivi presenti nel bambino nei primi mesi di vita, basati infatti su processi di sintonizzazione emotiva tra madre e figlio che inducono ad un mimetismo affettivo reciproco.
In questa prospettiva, il contagio emotivo sembra dunque essere caratterizzato dall'assenza di mediazioni cognitive che inducono ad un mimetismo fisiognomico basato sulla tendenza innata nell'uomo a riconoscere in modo immediato il vissuto emotivo dell'altro attraverso l'annullamento della distinzione del proprio sé e di quello altrui.
Wallon (1967) ha parlato in questo senso di risposte automatiche e precognitive di assimilazione ed introiezione dei vissuti emotivi dell'altro: il contagio emotivo è un'esperienza automatica di condivisione emotiva tale per cui le emozioni dell'altro diventano le proprie, e chi viene contagiato, o chi contagia, vive le medesime emozioni senza differenziazione tra il vissuto dell'uno e quello dell'altro.
Parlare di contagio emotivo in termini di imitazione di un comportamento, ha indotto Trevarthen (1993) ad individuare nel neonato la capacità di decodificare gli stati emotivi interni dell'altro, cogliendo direttamente le sue emozioni, e di rispondere in modo altrettanto immediato e diretto ad esse.
In questo senso Trevarthen postula l'esistenza di un'intersoggettività innata primaria che permette di accedere in modo diretto agli stati mentali altrui: il bambino che osserva l'espressione emotiva nella madre, imita direttamente quanto percepito, sintonizzandosi intersoggettivamente con il vissuto emotivo di questa.
L'idea che il bambino sia dotato fin dalla nascita di meccanismi che gli fanno emettere segnali socioemotivi e che gli consentono di rispondere ad analoghi indici di natura emotiva emessi dagli altri, ha condotto Bonino, LoCoco e Tani (1998) ad affermare che "La mente degli altri è primariamente trasparente attraverso le azioni con significato sociale", richiamandosi dunque al principio intersoggettivo di Trevarthen per cui le emozioni universali sono il ponte naturale tra le menti di ogni età.
In questo senso, secondo le studiose, il bambino accede agli stati interiori dell'altro in modo diretto, senza che necessariamente sviluppi una teoria della mente: la capacità di comprendere gli stati mentali interni degli altri risulta essere un dato primario che non necessita di alcuna spiegazione, dal momento che l'organismo è caratterizzato dalla primaria adeguatezza delle sue strutture agli stimoli presenti nel suo ambiente.
La possibilità di accedere in modo diretto alla mente altrui, senza far ricorso ad una teoria della mente, è connessa da Bonino, Lo Coco e Tani al concetto di affordances formulato da Gibson ed utilizzato per indicare il fatto che i valori ed i significati delle cose dell'ambiente possono essere percepiti direttamente.
In merito alla possibilità da parte di un soggetto di accedere direttamente agli stati interni degli altri individui, Gibson parla di affordances negli altri animali per indicare il fatto che gli oggetti animati, essendo animati da forze esterne ed interne in base alle quali si muovono passivamente ed attivamente deformando con i loro movimenti le superfici del loro corpo, hanno affordances specificate dalle loro caratteristiche permanenti e dal loro stato temporaneo.
La percezione delle mutue affordances , che caratterizzano i reciproci scambi tra gli esseri viventi, si basa su informazioni provenienti dagli stimoli, giacché gli animali e le persone possono dare informazioni su se stessi solo nella misura in cui possono essere toccati, uditi e odorati o visti.
Abbandonando dunque i processi cognitivi e conoscitivi che mediano la responsività empatica, Bonino, Lo Coco e Tani parlano di una concezione esclusivamente affettiva dell'empatia che induce ad una fusione affettiva tra individui e induce alla possibilità di fare propri gli stati emotivi altrui.
All'interno di tale prospettiva, secondo le studiose, l'empatia comporta dunque un processo affettivo di assorbimento, attraverso l'introiezione dell'altro, con la conseguente risonanza tra i sentimenti dell'altra persona, che sono stati interiorizzati, ed i propri, attraverso l'evocazione della propria esperienza, ma anche un di stanziamento implicante l'attuazione di una risposta che riflette sia la comprensione dell'altro che la differenziazione di esso. In questo modo, dunque, anche se tramite l'empatia, un individuo tende ad introiettare i sentimenti altrui, rendendoli così propri, non c'è mai una totale fusione tra l'identità di una persona e l'altro, giacché, tramite i processi cognitivi, è possibile riconoscere la differenziazione tra il proprio sé e quello dell'altro. In questo senso, Bonino, LoCoco e Tani sembrano parlare di empatia in termini di proiezione e di introiezione, termini con cui si intende infatti la tendenza ad attribuire ad un'altra persona i propri pensieri, i propri sentimenti ed i propri atteggiamenti, e, dall'altro lato, la capacità umana di incorporare i sentimenti, gli atteggiamenti ed i pensieri altrui.

A cura di Laura Ramaro

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