All'insegna della cultura ebraica parte terza

 

     
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
     
     
 
 
     
     
 

Oltre a quello cui si è fatto finora riferimento, si prospetta, all'interno delle comunità, un ulteriore e più raffinato processo di crescita culturale; esso comporta l'apprendimento della capacità di leggere, in lingua originale, le grandi fonti della tradizione ebraica, quindi non solo la Bibbia, ma anche il Talmud e il Midrash e così via.
L'unica convincente prova pratica che esistano, accanto a quello ortodosso, altri registri con cui leggere in modo legittimo questi testi sta nel fatto che pure i cosiddetti laici solcano, con indiscussa competenza, questi complessi e fascinosi sentieri.
Un simile tema, però, è dotato anche di altri e non meno importanti sviluppi. In questi anni da varie parti, e in particolar modo nel mondo cristiano, l'interesse per l'ebraismo ha registrato una crescita notevolissima; sono, quindi, sempre più frequenti le situazioni in cui è chiesto a degli ebrei di parlare della loro religione e della loro cultura.
Purtroppo, però, non poche volte da parte ebraica si deve registrare una preparazione non all'altezza di tale impegnativo compito. Il che, aggiungiamo noi, fa sì che il monopolio in questo campo sia tenuto, in pratica, dai rabbini, i quali, è ovvio, rappresentano una componente essenziale del mondo ebraico; tuttavia essi, per linguaggio e formazione, tendono a trasmettere, a volte, all'ascoltatore non ebreo un quadro dell'ebraismo troppo uniforme.
Già in base a questa prima serie di considerazioni si può, quindi, comprendere perché una scelta politica incentrata sulla cultura ebraica si presenti come una via per giungere a una sintesi interna e per favorire un dialogo verso l'esterno; solo un'identità culturalmente matura e, di conseguenza aperta, è consona a instaurare un dialogo con l'"altro".
Tenendo conto di ciò, abbiamo invitato Luzzatto a esporci, in modo più approfondito, la sua visione dei rapporti con il mondo cristiano. Egli ci ha risposto in modo assai pertinente e articolato, preoccupandosi subito di aggiungere che, nell'attuale situazione italiana, non si può ignorare neppure la presenza dell'islam.
Parlando dell'atteggiamento ebraico nei confronti del cristianesimo è bene distinguere il discorso dei rapporti con la chiesa cattolica da quello connesso alle relazioni con le altre chiese cristiane.
Naturalmente, rispetto ad alcune impostazioni teologiche, l'universo cristiano presenta, al suo interno, dei punti di convergenza e delle differenze invalicabili rispetto all'ebraismo. Non c'è dubbio, afferma Luzzatto, che tra tutte le altre religioni il cristianesimo è quella che l'ebreo sente più affine; con chi altri può, ad esempio, condividere la convinzione non solo che vi è un messia, ma che egli si qualifichi precisamente come figlio di Davide?
Certo, se parliamo di Gesù come figlio di Dio le cose cambiano e tuttavia, prosegue Amos Luzzatto, anche in questo caso basterebbe prendere il discorso dall'altro verso, partendo cioè dalla paternità di Dio, per costatare l'esistenza tra ebraismo e cristianesimo non solo di affinità, ma addirittura di vere e proprie identità di vedute rispetto al modo in cui Dio si rapporta familiarmente con gli uomini.
Sul terreno dottrinale, però, l'accordo, ovviamente, non potrà mai essere completo; si giungerà, infatti, inevitabilmente a uno spartiacque invalicabile tra le rispettive dottrine. Tuttavia, ci si può chiedere se nella volontà di impostare il discorso in modo esclusivamente teologico non sussista, per così dire, un vizio di partenza.
Per rendere chiaro il suo pensiero in materia, Luzzatto ci ha proposto un'esemplificazione che prende lo spunto da un argomento tuttora di viva attualità: il documento vaticano, Noi ricordiamo una riflessione sulla Shoah (cf. Regno-doc 7, 1998, 201; Regno att., 8,1998,269.).
Questo testo è stato giudicato da alcuni esponenti ebraici un significativo passo avanti da parte della teologia cristiana, è effettivamente così; il punto, però, sta proprio nel chiedersi se, quando si affronta la storia del popolo ebraico, specie su un argomento di tale portata, il linguaggio teologico possa effettivamente esaurire l'intero discorso; l'ebraismo è sì una religione, ma è anche una cultura, un modo di essere, in un certo senso anche un'identità nazionale.
La complessità di questo nodo non può essere ridotta a una serie di pure proposizioni teologiche; e ciò vale anche quando si rinnega l'antico antigiudaismo cristiano per cercare nuove e positive aperture.
Nell'ambito della chiesa cattolica sembra di assistere a una specie di irrisolta divaricazione; da un lato, infatti, si rileva la già citata propensione nei confronti di un linguaggio prevalentemente teologico, mentre, dall'altro, si assiste a un'azione di stampo prettamente diplomatico.
Ad esempio, il riconoscimento, pur altamente positivo, dello Stato d'Israele da parte della S. Sede (cf. Regno-doc., 3,1994,81) si inscrive nella dimensione specificatamente internazionale del rapporto fra stati e, in quanto tale, esso non può coprire tutti i temi, anche non teologici, messi in campo dalla presenza di un rapporto con la multiforme realtà ebraica.
Invero, pur registrando con soddisfazione i recenti sviluppi, non si può dimenticare che la dimensione politico-diplomatica propria della chiesa cattolica, in un passato non troppo lontano, ha dimostrato, nei confronti degli ebrei, volti tutt'altro che positivi.
In quest'ambito, a detta di Luzzatto, va, ad esempio, collocato anche il discusso tema dei "silenzi di Pio XII". Il papa non fu certo l'unico a sapere e a tacere; le potenze occidentali che stesero una coltre di silenzio sullo sterminio nazista, si comportarono in questo modo in base a calcoli, giusti o sbagliati che fossero, di natura strettamente politica: nella stessa prospettiva va giudicato il comportamento di Pacelli la cui azione fu chiaramente impostata tenendo conto della logica che presiede ai rapporti tra stati.
E, aggiungiamo noi, considerazioni analoghe si potrebbero sicuramente avanzare pure in relazione all'atteggiamento assunto dalla S. Sede rispetto all'applicazione delle leggi razziali naziste e fasciste (cfr. Regno-att., 14,1987,388) .
In definitiva, l'esistenza del popolo ebraico, è contraddistinta da una varietà di fattori, religiosi, culturali, sociali, politici, ecc., non riducibili né al polo della pura teologia, né a quello della semplice diplomazia, per questo esso si presenta per la chiesa cattolica come un interlocutore particolarmente ricco ed esigente..... (fine prima parte......... continua)

PIERO STEFANI

Tratto da un articolo comparso nella rivista Il Regno n. 16 del 15 settembre 1998, p. 514 e gentilmente concesso da PIERO STEFANI, per ulteriori informazioni info@meetnet.it .
É disponibile l'articolo completo in formato word, chiedilo alla redazione

 
 

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